"Vorremmo sposarci", "vorremmo mettere su famiglia", "vorremmo fare un figlio"... Ma. Ho perso il conto ormai di
quante volte ho sentito questi discorsi, e il ma finale era sempre lo stesso: non c'è stabilità, non c'è sicurezza,
come si fa a fare un figlio se poi non lo puoi mantenere, eccetera. Mi ci sto scontrando in prima persona, in
questo periodo. Hai trovato la persona che senti davvero tua, e la frustrazione del non riuscire a far combaciare
sogni e realtà è enorme.
Ho deciso di studiare psicologia a 14 anni, dopo un incontro sui disturbi alimentari organizzato dalla mia scuola
media. Non mi ricordo neanche come si chiamava, la psicologa che venne a parlarci, ma mi ricordo quanto mi colpì il suo lavoro. E da
allora, ho passato i successivi 5 anni di liceo a sognare quella facoltà. Non mi sono mai pentita della mia scelta.
Non ne ho dubitato neanche quando un professore, il primo anno, ci ha accolto mettendoci in guardia: "se sperate di
guadagnare, avete sbagliato strada. Per quello, al massimo, psicologia del lavoro". Ma non è così facile smorzare
l'entusiasmo che cresce dentro da quando sei ragazzina. Adesso mi ritrovo con la laurea che ho sempre voluto, ma
senza un lavoro che abbia a che fare con questa. E senza grandi prospettive di cambiamento, per di più. "C'è la crisi", "non c'è
lavoro per nessuno", sì, lo so. Ma raramente questo mi consola. Tralasciando i problemi pratici, perchè sono
fortunata e ho chi mi supporta, rimane l'amarezza e la frustrazione. E soprattutto, lo smarrimento. La domanda
"dove sto andando?" mi rimbomba in mente ogni giorno, scorrendo offerte di lavoro che non sono per me, e che
infatti non portano mai da nessuna parte. Ho investito sei anni della mia vita nella preparazione, rendendomi conto
man mano di quanto poi poco servisse, in questo campo, prendere 30 agli esami, se poi non hai la
possibilità di toccare con mano quello che studi. E adesso, dopo un anno di tirocinio difficile ma bellissimo, mi
sento come una bambina a cui hanno fatto assaggiare un dolce e poi l'hanno tolto.
Chiamano i ragazzi della mia età bamboccioni, ci descrivono come mammoni, gente che non ha il coraggio di uscire
dalla casa dei genitori. In realtà, io non so cosa darei in questo momento per avere la possibilità di mettermi alla prova e di
mettere in pratica quel poco che credo di aver imparato, rendendomi indipendente; ma sembra che non ce ne sia la possibilità. E questo,
ovviamente, si ripercuote sulle scelte personali: non puoi comprare una casa, figurarsi se puoi pensare di mettere
al mondo un figlio, e ti dici "aspettiamo, dovranno migliorare le cose". E quindi rimani in questo limbo forzato,
continui a mandare curriculum che non ottengono risposta, e aspetti, chiedendoti se fai abbastanza, non avendo più
idee su che cosa fare ancora, e sentendo crescere ancora di più la frustrazione.
D'altra parte, fa sentire un po' meno soli sapere che non è un problema solo mio, che altre migliaia (milioni?) di
ragazzi sono nella stessa situazione. Certo, aumenta anche la competizione, ma tant'è.
E allora, continuiamo così. Aspettiamo Godot.
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