"Bisogna tenere duro, tenere duro comunque, con le unghie e con i denti". (D. Pennac)

sabato 10 marzo 2012

Quale "Scala" di valori?

Nelle ultime settimane ho seguito con parecchio interesse tutta la vicenda della ballerina Mariafrancesca Garritano, licenziata dalla Scala dopo che aveva raccontato il retroscena del corpo di ballo del teatro milanese. «Una danzatrice della Scala su cinque soffre di disturbi alimentari», ha detto la Garritano all'Observer prima, e ribadito alle "Iene" poi. La direzione della Scala si è sentita oltraggiata da queste dichiarazioni e l'ha licenziata.
In realtà, quando ho letto e ascoltato queste interviste non mi sono affatto stupita: preparando la tesi due anni fa, avevo già trovato alcuni articoli di riviste scientifiche che mettevano in luce proprio questo aspetto. La ompetitività, che aumenta man mano che si frequentano compagnie sempre più prestigiose, e la consapevolezza che si lavora in un mondo che richiede ogni giorno la perfezione del proprio corpo, o per lo meno ciò che più ci si avvicina, mette per forza di cose sotto pressione le ballerine (e i ballerini: i disturbi alimentari sono una realtà anche maschile, ma troppo spesso messa in secondo piano), che possono trovare rifugio in escamotage di diverso tipo per dimagrire o mantenere quella che viene loro imposta come forma fisica necessaria. In un articolo pubblicato sul Journal of psychosomatic research nel 2006, alcuni autori avevano messo in luce esattamente questo fattore: soprattutto in ragazze adolescenti o preadolescenti, che quindi hanno ancora una struttura fisica infantile (che per certi versi è proprio quella richiesta dalle scuole di danza), la pressione culturale e la preoccupazione per i propri risultati possono interferire con un corretto rapporto col proprio corpo, che in quelle fasi dello sviluppo comincia a modificarsi e ad assumere caratteristiche prettamente femminili.
Insomma, a tredici-quattordici anni la maggior parte delle ragazze ha un rapporto di amore e odio col proprio corpo: c'è il desiderio che maturi, ma contemporaneamente c'è anche l'incertezza dei cambiamenti, che spaventano. E poi, difficilmente ci si trasforma in modi che piacciono: "il seno è troppo grande o troppo piccolo", "ho le gambe troppo grosse", e così via. Non credo di aver mai conosciuto un'adolescente soddisfatta interamente del proprio aspetto fisico (e se devo dirla tutta, mi stupirebbe parecchio trovarne qualcuna). Se a questo aggiungiamo la pressione che può mettere addosso a una ragazzina una scuola di danza (ambiente competitivo per eccellenza, credo), di solito frequentata per passione, e quindi con ancora più impegno, il passo per arrivare a un rapporto conflittuale col cibo mi sembra molto breve.
E' altrettanto ovvio, immagino, che un teatro di così chiara fama come la Scala senta il dovere di tutelare la propria immagine, ma ciò non toglie che mi lasci l'amaro in bocca sapere del rifiuto così netto di affrontare un problema tanto grave come quello dei disturbi alimentari.
La danza classica è splendida, e può darsi che non sia adatta ad altre costituzioni se non quelle che siamo abituati a vedere, ma se ci si deve rimettere la salute (fisica e mentale), non so più se ne vale la pena.


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