"Bisogna tenere duro, tenere duro comunque, con le unghie e con i denti". (D. Pennac)

lunedì 29 aprile 2013

Cucina terapeutica

E' davvero tanto che non aggiorno il blog. Sarà che i consigli che ti danno da piccola rimangono ben piantati in mente, e quello di mia mamma "se non ha niente di intelligente o carino da dire, piuttosto stai zitta" si è radicato per bene. Fatto sta che non trovavo mai argomenti abbastanza validi per scrivere.
Poi, più d'una persona mi ha dato l'idea di aggiungere al blog una nuova categoria, un argomento che mi appassiona e mi diverte quasi quanto la psicologia, ovvero la cucina.

E' da quando ero piccola che pasticcio tra i fornelli: prima guardavo mia mamma, poi la aiutavo (più che altro, a pulire i tegami dei dolci!), poi ho cominciato - un po' per necessità, poi man mano con vero piacere - a cimentarmi in piatti diversi.
Oggi, cucinare è una dei momenti che mi rimettono a posto col mondo e con me stessa. Credo, in questo, di aver imparato molto da mia mamma. Mi ricordo quando capitava che fosse di cattivo umore, o semplicemente pensierosa, e diceva: "ho bisogno di fare il pane". All'epoca non capivo il fascino che si celava in questo processo, e rimanevo un po' perplessa. Poi, andando a vivere con qualcun'altro, ho scoperto il vero piacere che mi suscita cucinare per gli altri: la lieve tensione nel provare una ricetta nuova, senza sapere come verrà; sbirciare l'espressione dei commensali per scoprire se piace o no; scoprirmi ogni volta contenta nell'assaggiare il piatto e rendermi conto che è buono.

C'è poco da fare, amo il buon cibo. Mi piace assaggiare piatti nuovi, mi piace riscoprire vecchi sapori, e mi piace cucinare. E dopo anni in cui questo mi faceva sentire in colpa (quasi come se la cosa giusta fosse vivere d'aria, quasi come se mangiare e dire a voce alta che mi piace fosse sconveniente), ho deciso che se una cosa mi fa stare bene, e non è illegale, non è sano togliermela. Ovvio, questo implica una perenne ricerca di un equilibrio tra gusto e apporto calorico non eccessivo, ma ne sono consapevole.
E poi, amo proprio il processo. Amo sporcarmi le mani, amo i profumi diversi che si legano insieme, amo vedere gli ingredienti che, da separati, si amalgamano e si fondono e creano qualcosa di nuovo. E soprattutto, amo il fatto che determinati piatti saranno sempre legati ad alcuni ricordi. Ad esempio, il profumo di caffè sarà sempre odore di risveglio a casa dei miei, la mattina. E l'odore del budino al cioccolato mi riporterà sempre alla memoria mia nonna.

Quindi, dato che ormai è noto a chi mi conosce che io cucino determinati piatti in base al mio umore, ho deciso che un nuovo tema del blog saranno le psico-ricette: cominciamo proprio con uno dei dolci-da-nostalgia-di-casa... Il BUDINO DELLA NONNA LEA.
Le dosi sono la cosa più facile del mondo: 1 etto di farina, 1 etto di zucchero, 1 etto di burro, 1 etto di cacao (amaro per le persone normali, zuccherato per i golosi irrecuperabili come me), 1 litro di latte.
Il procedimento è sostanzialmente quello per fare la besciamella: si scalda il latte in un pentolino, e lo si porta a bollore. Nel frattempo si tosta la farina nel burro fuso, finchè non formano un'unica palla. A questo punto si aggiunge, un mestolo alla volta, il latte caldo, mescolando con cura per evitare che si formino i grumi di farina. Finito di aggiungere il latte, si aggiunge lo zucchero, sempre mescolando, e il cacao (se si vuole essere proprio bravi bravi, setecciandolo... io non lo faccio mai: o me ne dimentico, o non ne ho voglia). Si aspetta che prenda il bollore, sempre mescolando, e lo si versa in uno stampo o nelle coppette.
La parte migliore rimane sempre pulire il tegame... E riassaporare alla prima cucchiaiata il profumo di nonna (e di mamma) che mi riempie pancia, naso e cuore.